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Ang Lee

di Boris Sollazzo

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Ang Lee (Afp)

Due leoni d'oro in tre anni (Brokeback Mountain e Lussuria), due Orsi d'oro a Berlino (per l'ottimo Il banchetto di nozze agli albori della carriera, nel 1993, e per Ragione e sentimento, nel 1996), il primo vero premio Oscar gay per l'ormai cult I segreti di Brokeback Mountain (Milk di Gus Van Sant ha avuto solo i "contentini" di sceneggiatura e miglior attore con Sean Penn), Ang Lee è l'uomo della passioni forti e dei record. Nato il 23 ottobre del 1954 a Ping Dong, a Taiwan, è uno dei più brillanti esempi di schizofrenia cinematografica e intellettuale, l'uomo delle contaminazioni, di genere (in tutti i sensi) e di culture. Profeta del cinema dell'estremo oriente, che grazie ai grandi festival (Cannes ha lanciato la moda, Müller con la sua competenza li ha resi habitué a Locarno prima e Venezia dopo, Berlino li scruta sempre con attenzione) ora è una realtà solida e potente, rappresenta un ponte tra le due civiltà, almeno al cinema. Non solo per il "caldissimo" luogo di nascita ma anche perché nel 1978 decide di trasferirsi negli Stati Uniti. E così, a una sensibilità prettamente orientale, soprattutto estetica, ne aggiunge una, soprattutto a livello etico, contaminata con l'occidente. E la sua cinematografia rispecchia questo conflitto che lo arricchisce e lo tormenta: tutti i suoi film, infatti, possono riassumersi in una lotta costante tra tradizione e modernità, che sia il passato di guerra, mondiale e sociale, di un paese (vedi Lussuria) oppure la rivisitazione di Jane Austen (Ragione e sentimento).

Con coerenza e forza ha sempre perseguito una ricerca artistica che raccontasse questo conflitto in termini creativi e innovativi, rispettando schemi classici. Per questo ha sempre cercato argomenti e generi diversi, passando da film indipendenti a blockbuster, parlando della sua terra d'origine oppure indagando su quella adottiva, come fece a metà anni '90, quando con Tempesta di ghiaccio e Cavalcando con il diavolo tratta prima del Watergate, con ottica intimista, e poi della Guerra di secessione americana. Il riconoscimento pubblico e critico mondiale, però, lo raggiunge completamente dal 2000 in poi, con progetti ambiziosi a livelli di contenuto e anche produttivi. Da La tigre e il dragone, film di cappa e spada (o wuxiapian, come viene definito alle sue latitudini d'origine, il famoso "fantasy con le lame") che esalta tutti, pubblico in testa, fino al 2003 quando dirige, da perfetto eroe dei due mondi, Hulk. Sfida impossibile secondo molti quella di un autore come lui alle prese con il cinefumetto.

Lui la affronta da par suo, sovverte molto della mitologia dell'eroe verde rabbioso e tormentato, offrendocene una visione rivoluzionaria e rivoluzionata. Uno dei suoi film più belli, ma anche tra quelli più incompresi, sottovalutati e controversi, tanto che verrà rinnegato dalla stessa casa di fumetti a cui fa capo Hulk stesso. Il 2005 è l'anno del suo grande progetto, i cowboy gay di Brokeback Mountain, dopo molti problemi (i protagonisti Jack Gyllenhall e il compianto Heath Ledger accettano il ruolo con difficoltà, dopo molti rifiuti di loro colleghi), gli fanno inanellare, da Venezia a Los Angeles, una straordinaria catena di successi. Il suo è un affresco romantico, sensuale, vibrante in cui arretratezza sociale e amore omosessuale si scontrano in un mondo ottuso. Poetico. Così come l'ultimo Lussuria, summa della sua estetica e fin troppo compiaciuto, storia di sesso e guerra che ha lasciato molti dubbi ma ha confermato il suo straordinario talento visivo. Taking Woodstock è un nuovo incontro con la storia americana, in cui racconterà l'incredibile storia (vera) dell'hippie gay che cambiò la sua vita e una generazione intera con un raduno musicale leggendario. Che sia l'occasione, per Ang Lee, di aggiungere alla sua bacheca anche la Palma d'Oro?

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